Il montaggio nucleare di Glauber Rocha e le video installazioni

Daniela Stara

2007

 

 





Montaggio Nucleare

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La teoria del montaggio nucleare fu la teoria più radicale di Glauber Rocha, e raggiunse la sua massima espressione nei suoi ultimi film Di (1977) e A Idade da Terra (1980). Questi ultimi si caratterizzano per un montaggio frenetico e non lineare, che ripete scene fino all’irritazione, concepito come pura provocazione (movimenti vertiginosi di camera ci disorientano, così come la varietà poco ortodossa degli angoli di ripresa).

Il montaggio è per definizione la costruzione della storia in scene o capitoli, legati fra loro con il fine di creare un senso; è anche ciò che unisce nel tempo spazi lontani o diversi. Fin dai tempi in cui si cominciò a teorizzare sul montaggio, questo fu definito come ritmo del film; ciò che, scartando elementi “inutili” o “non rilevanti” per il racconto, eliminando quindi i cosiddetti tempi morti, crea continuità nella lettura di una storia.

A partire dalla Nouvelle Vague la definizione si ampliò e si modificò recuperando i tempi morti, cosa che Glauber di fatto adottò. In generale, la definizione di montaggio che quasi sempre ha regnato è semplicemente quella di “ritmo” del film.


Glauber primeggiava per la sperimentazione nel linguaggio cinematografico. Tra le sue innovazioni, troviamo una forma originale di trattare l’immagine attraverso una nuova concezione montaggistica. Con Di e l’ultimo film A edade da terra, la struttura dei film diventa sempre più illeggibile e la inclusione di altre discipline artistiche (pittura, teatro, architettura e musica) contribuisce ad aumentare l’incoerenza visiva, fino al punto che il montaggio si allontana dalla definizione originario di “creatore di senso” e si avvicina alla tendenza contemporanea di de-frammentare e raccontare in forma non lineare.







Questi esperimenti fanno parte della sua Teoria del Montaggio Nucleare, che porta all’estremo la teoria del montaggio di Eisenstein (montaggio delle attrazioni). Secondo quest’ultima teoria, il pubblico accetta e collega due immagini lontane, che comunicano tra loro per associazione mentale, costruendo un senso “altro” dall’immagine vista – pavone / Zar = Zar / fantoccio. Nel montaggio nucleare , per estensione, la qualità sta nella quantità di queste associazioni. Non è una questione di velocità o lentezza che fa il montaggio nucleare. E’ importante che l’immagine esploda, o sia, che si liberi ed esca dalle costrizioni imposte dalla lettura classica che vuole un montaggio lineare ( il grado zero della scrittura cinematografica ). L’importante è che l’immagine esca dal suo ambito formale ed entri nell’ambito dell’incosciente, quest’ultimo inteso come l’ associazione di immagini apparentemente non vincolate fra loro, come succede con il sogno, prima della sua razionalizzazione. Da questo deriva la definizione di questo montaggio anche come "quarta dimensione".


Per Glauber, il montaggio non deve privilegiare una lettura piana dell’immagine, altrimenti quest’ultima rimarrebbe legata alla storia raccontata; al contrario, il montaggio deve far parlare l’immagine stessa. Come è la quantità delle associazioni ciò che permette che l ‘immagine esploda dentro dello schermo, si può in certo modo dedurre che il montaggio nucleare è come se fosse una somma di tutti i possibili montaggi esistenti. Interessante è che nonostante sia stata sviluppata in un ambito cinematografico, Glauber – attraverso della Teoria del Montaggio Nucleare – sviluppava un discorso innovativo nell’ambito del cinema che manifesta forti vincoli con gli esperimenti che trattano del cinema, realizzati nell’ambito artistico. Deleuze cita Glauber quando parla della tendenza contemporanea alla de-frammentazione e di fatto molti artisti contemporanei, partono dalla teoria rizomática di Deleuze, per la quale qualunque punto della narrazione può collegarsi con altri punti qualunque.



Montaggio nucleare e installazioni a multischermo

 
Come già detto, il montaggio nucleare, ultima creazione teorica di Glauber Rocha, fu una teoria creata per rinnovare ciò che era uno stato statico del cinema in Brasile. Anche se non si ha molto materiale su questa teoria, fatto dovuto alla precoce morte del regista, sappiamo che egli voleva ampliare l’esperienza cinematografica a vari livelli: nel trattamento dell’immagine e de suono, nella struttura stessa del film (eliminazione dei titoli, intervento nel film del regista stesso, permanenza nel film di ciò che generalmente viene tagliato dal montaggio, ripetizione delle scene, taglio dei dialoghi non conclusi) e, finalmente, l’abbandono della sala cinematografica come luogo sacro per vedere un film.
 
Questi discorsi - anche se Glauber non lo esplicitò mai - mostrano delle connessioni con le installazioni filmiche a multischermo. Queste ultime non si presentano come cinema, ma come opere d’arte e per questo rimangono spesso confinate nell’ ambito museale. L’intento qui, è quello di creare un dialogo fra Glauber Rocha e queste opere che, nella loro struttura, lavorano con materiale cinematografico.

E’ interessante che, artisti che lavorano con proiezioni filmiche utilizzando più schermi (Isaac julien, Eija-Liisa Ahtila...), frammentano la narrazione utilizzando i vari schermi come una alternativa al montaggio classico, soggiogato, nella proiezione tradizionale, a un solo schermo; si potrebbe sire che propongono una nuova forma di montaggio che continua quella esplosione proposta da Glauber, ampliando il punto di vista materialmente (gli schermi).





 


La perdita della linearità (così come Glauber la esercitava a un livello di moltiplicazione delle soluzioni montaggistiche) qui si  pratica montando il film nello spazio fisico del medio cinematografico, ossia, nei vari schermi. Le installazioni si presentano in questo modo perché, quello che narrano, non vuole intrattenere il pubblico con una storia, di una durata classica di più o meno due ore; questo è dovuto al fatto che sono stati concepiti in un ambito che vuole comunicare più con il videoarte e con il cortometraggio che non con il lungometraggio, essendo inutile aggiungere che di fatto quest’ultimo è l’unico che si avvicina alla definizione corrente di cinema.

L’ingresso del cortometraggio nel mondo del cinema (festival, proiezioni, etc.) è abbastanza recente, prima si rilegava al mondo dell’underground sperimentale. In passato era usato più da artisti che provenivano da altri ambiti (musicisti, pittori, scrittori, etc.) e non dal registia cinematografico in se per se: gli stessi protagonisti delle avanguardie degli anni venti in Europa e degli anni cinquanta negli Stati Uniti.

 
Oggi siamo abituati a leggere il cortometraggio come un genere più vicino al cinema anche per le sue connessioni e gli studi avanzati sul cinema delle origini.

 
Si può concludere a questo punto che le videoinstallazioni stanno avendo lo stesso destino del cortometraggio, o sia quello di opere che lavorano a partire da elementi cinematografici, però in una forma tanto innovativa o sperimentale che la relazione tra i due mondi si indebolisce, allontanando il videoarte dal pubblico cinematografico. E’ vero che nessuno ha ancora riflettuto coerentemente su questa somiglianza, dovuta prima di tutto al fatto di raccontare storie, là dove di narrazione si può parlare. C’è anche da dire che, il significato di narrazione, non è più da intendere come “struttura drammatica” costituita da un “inizio”, uno “sviluppo” e una “fine”, la sua struttura si è sviluppata tanto e in forma complessa, che oggi siamo abituati a leggere senza problemi film che raccontano in forma non lineare.

 
Tutto questo è Glauber: un cinema non lineare; e tutto questo sono anche le installazioni filmiche: una costruzione narrativa non lineare. La non linearità in Glauber si trova a un livello di montaggio, fatto di scene che potrebbero essere cambiate di posizione senza modificare la  lettura della storia proposta. La non linearità nelle installazioni filmiche, si crea attraverso vari schermi, contemporanizzando i punti di vista (in quanto la visione non si propone come una successione, ma simultaneamente nei vari schermi, obbligando lo spettatore a una attenzione particolare nella  “lettura”  dell’opera).

 
Come entrano in contatto allora Glauber e questi artisti visuali? Attraverso due canali. 1. nelle loro proposte di narrare in forma non narrativa, in una quarta dimensione, raccontando sogni senza razionalizarli; 2. nelle loro proposte di nuove forme di montare: uno, nucleare nell’esplosione dell’immagine dentro lo schermo, gli altri, raccogliendo i pezzi di questa esplosione e distribuendoli nei vari schermi. La unione nasce nella vocazione a sperimentale e nel farlo attraverso del montaggio. E anche se la definizione di montaggio non è la stessa (in un caso temporale, nell’altro spaziale), tanto Glauber quanto gli artisti contemporanei lavorano con l’immagine al di là della narrazione, tanto da creare nuove suggestioni, necessarie al linguaggio cinematografico, al suo rinnovamento.





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